Shawn Beard

strati d’improvvisazione

di Marco Maimeri


Si definisce “cocciutamente creativo” più che innovativo eppure le sue opere sono un tripudio di linee e colori che ricordano Picasso e Matisse ma pure le improvvisazioni di Monk. Ora sperimenta nuove tecniche espressive nei suoi ultimi lavori ma nel frattempo nasconde sul fondo dei suoi vecchi quadri il segreto di un titolo che è emblema stesso delle sue opere.

Il Come è nata la passione per la pittura e quale percorso formativo hai seguito?

Mi è sempre piaciuto creare arte. Ho frequentato le lezioni alle scuole elementari, medie e superiori e nel tempo libero disegnavo e dipingevo. Successivamente ho iniziato architettura all’Università del Nord Carolina di Charlotte. Mi piaceva anche la storia, ma non la precisione e la rigidità di quella materia. Così decisi di provare con i corsi di grafica pubblicitaria all’Università dell’Est Carolina. Andava meglio, ma mi sentivo comunque costretto dalla precisione e dal bisogno di essere pulito e nitido nel mio lavoro. Alla fine, dopo alcuni anni di pausa, ho preso una laurea di belle arti in pittura all’Università del Nord Carolina di Greensboro.

Come hai scoperto il jazz e cosa ti ha affascinato di quella musica?

Durante quel periodo di pausa dagli studi, ho lavorato sulle montagne del Nord Carolina facendo la guida di rafting giù per il fiume Ocoee e portando le persone a scalare le rocce e a fare escursioni avventurose. Lì lavoravo insieme ad un ragazzo, Greg Towery, con il quale divenni amico. Una sera, dopo il lavoro, stavamo bevendo una birra in veranda quando lui mise su un Cd di John Coltrane. Era uno dei tanti di un box set appena acquistato. Era l’estate del 1995. Non avevo mai ascoltato jazz e mi lasciai ipnotizzare dal mood della musica e dalla passione con cui gli strumenti si armonizzavano fra loro. L’ho costretto a farmi ascoltare l’intero cofanetto e mi sono gustato ogni piccolo particolare. Penso che l’immediato interesse avesse a che fare con il modo improvvisato in cui era suonata quella musica: ci ritrovavo lo stesso feeling libero ed elettrizzante di quando dipingevo.

Ascolti jazz mentre dipingi e in generale quale stile ti piace?

Quando dipingo, ho l’abitudine di ascoltare selezioni da me elaborate, con centinaia di canzoni, in modalità random. La spontaneità della sequenza casuale mi diverte e mi aiuta a familiarizzare con jazzisti e band. Provo a indovinare il brano e l’artista che lo suona, pur riuscendo meglio con il secondo. Il mio stile preferito è il bebop e Thelonious Monk è il mio jazzista di riferimento. Mi piacciono molto anche John Coltrane, Dave Brubeck, Louis Armstrong, Dexter Gordon, Charlie Parker, Mal Waldron, Miles Davis e tanti altri, però, per qualche strano motivo, mi relaziono maggiormente con Monk e con le sue eccentricità, nell’arte come nella vita.

Quali pittori o movimenti artistici ti hanno maggiormente ispirato e come nasce il tuo stile?

Sono rimasto affascinato soprattutto dal talento di Picasso e dalla varietà dei suoi stili e periodi creativi. Come anche da Matisse. Li ritengo due maestri dai metodi artistici tradizionali, ma ne ammiro soprattutto il pensiero coraggioso e d’avanguardia. Ricevo un sacco di strane occhiatacce e talvolta in molte importanti e tradizionali esposizioni non vengo accettato a causa del mio stile diverso dagli altri. Ma non mi importa. Amo il mio lavoro e so che altri trovano il mio stile piacevole. Non mi definirei innovativo, semmai cocciutamente creativo.

Come nasce la scelta di colori forti?

Tutti i miei lavori jazz sono creati con colori forti per una sola ragione principale. È così che vedo la musica quando l’ascolto: piena di colore ed espressività. Per questo motivo, cerco di spargere i colori su tutto il pezzo, in modo da creare un bilanciamento visivo ed un ritmo nella composizione. Resto fedele a una gamma abbastanza limitata, ma poi mescolo questi colori creando tinte secondarie da spandere.

Quale tecnica pittorica ti piace usare per dipingere i tuoi soggetti jazz e cosa cerchi di catturare in essi attraverso la tua pittura?

Devo dire che al momento sono molto indeciso fra due tecniche completamente differenti, e non ho nessuna intenzione di abbandonare né l’una né l’altra. Amo le opere jazz astratte e ricche di colori perché non mi costringono a preoccuparmi troppo dei dettagli né dei valori tonali né dell’il- luminazione, e le figure sono così stilizzate che non ho paura di far risaltare la somiglianza con i musicisti che ho intenzione di ritrarre. Nelle mie ultime opere ho sperimentato nuove tecniche che ho imparato da molte mie diverse esperienze e che ho fuso insieme per formare ciò che credo sia un’espressività unica e un modo esclusivo di utilizzare vecchi materiali. Amo davvero tanto il modo in cui la stratificazione in queste nuove opere crei una profondità, una brillantezza, uno spessore, un’intensità sia compositiva sia concettuale. Voglio che lo spettatore sia in grado di percepire una sensazione o un’atmosfera, anche dando solo una veloce occhiata al dipinto, ma voglio anche che faccia esperienza della profondità e dell’intensità del personaggio e della musica che esso suona, andando oltre i primi pochi strati di pittura per vedere ciò che c’è sotto. Deve essere un processo interattivo.

Puoi svelarci il “segreto” nascosto all’interno di opere come Jazz Band, Monk, Joy e Louis? Come ti è venuta l’idea?

Quando ho creato per la prima volta queste mie figure c’era parecchio spazio vuoto che non serviva a niente se non a rendere la composizione davvero noiosa e sbilanciata. Ho provato a posizionare le figure in pose estreme, antitetiche ma non funzionava e allora, senza alcuna ragione apparente, ho dipinto con colori casuali lo sfondo dietro il posizionamento degli oggetti. Non sono davvero sicuro del come o del perché ma un giorno decisi di scrivere la parola che avevo pensato di utilizzare come titolo sul fondo della figura in primo piano e mi piaceva come spezzava lo spazio, senza essere però un oggetto nel quadro. Utilizzo ancora lo stesso procedimento quando creo questi disegni e cioè prima disegno le figure principali e poi mi occupo di ogni piccolo particolare dello sfondo con il titolo. Ho anche sperimentato che quando le persone scoprono che ci sono parole nascoste nel dipinto si entusiasmano e l’opera diventa foriera di un’esperienza interattiva completamente nuova. L’arte si basa molto sull’esperienza e più tu ti prodighi per lo spettatore, più lui si divertirà veramente e apprezzerà il tuo lavoro in futuro.

Stai lavorando o pianificando qualcosa di nuovo? Quali saranno i tuoi prossimi progetti jazz?

Nell’ultima serie di figure sto creando composizioni usando una tecnica mista che è abbastanza complessa e coincide più o meno con una tecnica stratificata. A volte in questi nuovi pezzi uso anche sette o otto differenti strati, per creare un effetto visivo translucido. È veramente bello. Tre di questi nuovi lavori, insieme a un sacco di altri miei, sono visibili sul mio sito web.

http://www.shawnbeard.com